EDITORIALE – L’Oltrepò pavese è la casa del Riesling italico in Italia, ma il disciplinare di produzione dei vini DOC che prevendono il suo utilizzo è da riscrivere. Evidente, in più punti del testo, la confusione che regna sovrana tra il Riesling italico (alias Welschriesling, in Germania e Austria; Graševina, in Croazia; Olaszrizling in Ungheria, ecc.) e il Riesling renano, quasi come se si trattasse di vitigni “parenti” o cloni dello stesso vitigno. Come si evince all’articolo 1 dal testo ufficiale, scaricabile dal sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dalla Gazzetta ufficiale, la Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” prevede diverse tipologie: “Riesling”, “Riesling frizzante”, “Riesling spumante”, “Riesling superiore”.
I problemi riguardano l’articolo 2, riferito alla “base ampelografica“. In particolare, l’“Oltrepò pavese Doc Bianco” può essere ottenuto «dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, Riesling e/o Riesling italico: minimo 60%». Le altre tipologie che contengono “Riesling”, senza specifica distinzione tra Renano e Italico, sono il “Riesling” fermo, quello “frizzante”, lo “spumante”, e il “Riesling superiore”. Ancor più clamoroso il caso dei vini etichettabili come “Riesling riserva”, che prevedono «Riesling e/o Riesling italico: minimo 85%».
La confusione tra i due vitigni genera un evidente inganno ai danni dei consumatori, ignari delle differenze tra Riesling italico e Riesling renano, in particolar modo per la possibilità di etichettare entrambi come “Riesling”. Un aspetto evidente nel marketing di alcune cantine. Dal sito della cooperativa oltrepadana Torrevilla si legge, per esempio: «Italiano o Renano, il Riesling è parte importante nella storia dell’Oltrepò, terra molto vocata a questi vitigni freschi e aromatici». Il vino in questione reca in etichetta la sola scritta “Oltrepò pavese Dop Riesling“. La scheda tecnica del prodotto parla, altrettanto genericamente, di “Riesling”.
MERCATO DROGATO E ASSURDITÀ: SANZIONI PER CHI ETICHETTA “RIESLING ITALICO DOP”
Un caos che si riflette anche sulle cifre relative agli ettari vitati dei due distinti vitigni. Come evidenzia il Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese, «i dati a nostra disposizione, sono relativi al “Riesling” in generale, poiché la Denominazione non prevede una distinzione fra le due varietà». Fino al 2019, la somma degli ettari vitati delle due varietà era pari a 1.336,98 ettari, scesi a 1.227,13 nel 2021. Indubbio, dunque, che sul mercato italiano ed internazionale vengano immesse quantità drogate di “Riesling italico” etichettate (genericamente) come “Riesling”, nome che ha certamente più appeal sui mercati globali. Il tutto per via dell’escamotage presente nel disciplinare di produzione della Denominazione di Origine controllata Oltrepò pavese, che rende addirittura sanzionabile un’eventuale menzione in etichetta di “Riesling italico Dop“.
Quello che in Italia è (incredibilmente) legge, sarebbe un’assurdità in Paesi come Germania, Austria, Croazia, Serbia, Slovenia e Repubblica Ceca, dove il Riesling italico è molto diffuso. A tentare di valorizzarlo in chiave internazionale sta pensando il team di GROW DU MONDE, attraverso un concorso che ha messo sotto i riflettori – la scorsa settimana, in Croazia – oltre 250 campioni di Riesling Italico (in particolare Graševina) provenienti da 7 Paesi dei Balcani e dell’ex blocco austro-ungarico.
L’evento, organizzato da Igor Lukovic, Saša Špiranec e Zoltán Győrffy, punta a risollevare le sorti del vitigno e mostrare le punte di qualità raggiungibili. Ad emergere, oltre alla qualità medio alta dei campioni (12 le medaglie di platino) è stata la versatilità assoluta dell’Italico, in grado di dare vita a vini freschi e beverini, vini più strutturati con il giusto apporto di legno, vini orange di grande carattere e vini dolci degni di una ribalta internazionale. Nessun campione italiano in gara in questo 2023. Ma il Bel Paese si candida ad ospitare l’edizione 2025 di GROW.
OLTREPÒ PAVESE E RIESLING ITALICO: UNA NUOVA STORIA DA SCRIVERE
A dare ancora più credito a questa candidatura è la scoperta effettuata dai ricercatori del principale ente pubblico di ricerca in Italia, il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche. Secondo quanto riportato a winemag.it dal portavoce Stefano Raimondi, oggi ricercatore indipendente, il team di cui faceva parte ha finalmente scoperto uno dei due genitori del Riesling italico. Si tratta della Coccalona Nera, vitigno molto diffuso in passato nella bassa Lombardia, in Piemonte, in Veneto e in Emilia Romagna (qui col sinonimo di Orsolina), oltre che in Svizzera, Austria e Germania. In particolare, gli areali in cui era presente questo vitigno o suoi diretti parenti erano la zona di Gavi, i Colli Tortonesi, l’Oltrepò pavese e i Colli Euganei, insieme a tutto il Baden-Württemberg, che si estende verso est tra l’attuale città svizzera di Basilea e la tedesca Heidelberg. Tuttora ignoto il secondo genitore che ha dato vita a quello che, sin dall’ottocento, viene descritto come Welschriesling, ovvero Riesling italico.
Il nome Riesling, affiancato dalla parola “italico” – precisa a winemag.it il ricercatore Stefano Raimondi – potrebbe essere spiegato proprio dal fatto che il vitigno era largamente presente in Italia. Utilizzando la dicitura “Riesling italico”, lo si voleva distinguere dall’altra varietà a bacca bianca più diffusa in Germania, ovvero il Riesling renano. Ed è corretto, perché si tratta di due vitigni ben distinti. Le ipotesi che si trattasse di una varietà francese, o meglio della Champagne, sono state screditate sin dall’Ottocento: una varietà tardiva come l’Italico non sarebbe mai giunta a maturazione all’epoca, in quella regione. E non maturava benissimo neppure in Germania».
Stabilire con certezza assoluta dove sia avvenuto l’incrocio naturale tra Coccalona Nera e l’altro genitore che ha dato vita all’Italico è tuttavia molto difficile. Di certo, la Coccalona nera ha lasciato sul campo diversi “figli”, tutti nel Nord Italia. Tra questi ci sono vitigni come Uva Rara, Durasa, Moscato Nero di Acqui, Moretto grosso in Val Borbera (Colli Tortonesi), Lambrusco di Fiorano in Emilia Romagna. E ancora: Cavazzina, Sgavetta, Pattaresco nei Colli Euganei. Nel 1840 il Riesling italico, o meglio il Welschriesling, viene citato tra i vitigni presenti anche nella zona di Vienna e in tutta la Stiria (quindi anche in Slovenia). Successive le citazioni storiche ufficiali di Olaszrizling in Ungheria e di quella che, inizialmente, veniva chiamata Talianska Graševina (letteralmente “Graševina italiana”), poi divenuta semplicemente Graševina, vitigno a bacca bianca più diffuso in Croazia.
«Il Riesling italico, così come lo conosciamo oggi – spiega ancora il ricercatore Stefano Raimondi – entra o rientra in Italia come tale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Lo fa inizialmente in Veneto, presso la Tenuta dei Conti Papadopoli, a San Polo di Piave. Lo cita Salvatore Mondini nel 1903, in un libro sui “vitigni stranieri”, suggerendo che lo stessero (ri)piantando anche anche a Tassarolo, nel Gaviese. Una guida vinicola del 1911 fa poi riferimento al fatto che, in provincia di Alessandria, si stesse “provando a piantare Riesling come nel vicino Oltrepò pavese”». Dell’unico genitore noto dell’Italico restano pochissime piante. Stefano Raimondi e il gruppo di ricercatori del Cnr ne ha mappate tre in Val Borbera, presenti ai margini di due vigneti. La storia dice che oggi bisogna rivolgere lo sguardo oltre le colline tortonesi per trovare il presente del Riesling italico. Il futuro è tutto da scrivere. Chi comincia?
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.